INTERVISTA IMPOSSIBILE A ... Emmanuel Macron
Parigi non è solo la capitale della Francia, ma anche la città dove sono nati i diritti civili.
Qui, nel 1789, è scoppiata la Rivoluzione francese e le persone hanno abbattuto l’antico regime assolutistico per rivendicare le loro libertà.
Contemporaneamente allo svolgimento dei Mondiali di calcio, iniziano a circolare per le strade di questa splendida metropoli le immagini delle due mascotte delle prossime Olimpiadi 2024, in programma in Francia: due pupazzi a forma di berretti "frigi" e con i colori della bandiera francese.
Come ha dichiarato Tony Estanguet, presidente del comitato organizzatore, lo scorso 14 novembre, il riferimento è al copricapo simbolo della Rivoluzione del 1789 e della Repubblica francese, con lo scopo di rappresentare “i valori che appartengono alla nostra storia quali l’eguaglianza, la libertà e la solidarietà”.
Il berretto frigio si è diffuso nell’estate del 1791. Era un berretto rosso con la punta ripiegata sul davanti. Per i rivoluzionari era simbolo della libertà perché credevano che fosse indossato nell’antica Roma dagli schiavi liberati, che spesso provenivano dalle regioni del Vicino Oriente come la Frigia.
Nato nel 1977, Emmanuel Macron ha partecipato alle elezioni politiche del 2017 sotto la bandiera di un movimento politico centrista da lui fondato nell'aprile 2016, La République En Marche. È Presidente della Repubblica francese dal maggio 2017.
Presidente, Lei è il più giovane presidente della Francia nella storia.
Un compito difficile, considerato il ruolo della Francia nel contesto internazionale.
Quando ha capito che era pronto?
Dopo anni di intenso studio e lavoro.
Quando mi sono iscritto al partito socialista, è stato decisivo l'incontro con l’ex presidente François Hollande, di cui sono diventato consigliere economico e successivamente ministro dell'Economia.
Presto ho capito che la politica era fondata sulla contrapposizione tra sinistra e destra e su concezioni antiche. Pertanto, nell’aprile del 2016 ho fondato il movimento “La République En Marche” per rinnovare il panorama politico francese.
Il vero divario nel nostro paese è tra progressisti e conservatori e io sono progressista.
Che cosa significa essere progressista?
Essere progressita significa, ad esempio, liberalizzare il mercato del lavoro, aumentare il salario minimo e l'indennità pensionistica minima, rendere i prodotti di protezione igienica gratuiti per le donne nelle scuole e nelle prigioni, infrangere alcuni tabù francesi, come smantellare l'ENA, la scuola per le élite francesi, creata da de Gaulle, per fondare un nuovo istituto di formazione dei dirigenti dell'amministrazione aperto a tutti grazie a delle quote per studenti provenienti da ambienti svantaggiati
Il tema del salario minimo è all’ordine del giorno. Dopo Spagna e Germania, la Francia ha aumentato il salario minimo a partire dal primo maggio scorso e il compenso netto è passato da 1.269 a 1.302,64 euro. L’Italia, invece, non adotta questa scelta come pochi altri Stati membri Ue (Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia, NdR).
Perché Lei sostiene il salario minimo?
Fin dal 2018 io ho incentivato una politica di solidarietà attraverso una serie di misure a favore dei più deboli, come il salario minimo e tagli fiscali per lavoratori e pensionati.
La pandemia ha dimostrato che questa è la strada giusta. Voglio e auspico di proseguire questo lavoro, con atti forti per promuovere un lavoro di qualità e meglio pagato con salari minimi che siano dignitosi, creando nuovi diritti per i lavoratori delle piattaforme digitali e introducendo quote per le donne nei nostri consigli aziendali.
La solidarietà e l’impegno sociale sono alla base della sua decisione di battezzarsi all’età di 12 anni, nonostante la sua famiglia d’origine non fosse religiosa?
Mi riconosco nel messaggio della Chiesa cattolica a non trincerarsi in un ghetto, ma ad agire per alleviare la miseria in tutte le sue forme, soprattutto nei contesti di fragilità sociale.
Contesti purtroppo sempre più diffusi, non solo nelle aree svantaggiate del Mondo: da febbraio la guerra è in Europa.
Come si può mettere fine alla guerra in Ucraina?
Attraverso le negoziazioni. Per questo, ho voluto, insieme al Presidente degli Stati Uniti, la Conferenza di pace che si è tenuta a Parigi lo scorso 13 dicembre a Parigi, per migliorare il coordinamento tra i donatori internazionali e creare una piattaforma comune di coordinamento degli aiuti, allargando il meccanismo di protezione civile dell’Unione europea ad altri Stati e organismi internazionali.
Alla fine, abbiamo stabilito un pacchetto di aiuti per la popolazione ucraina di circa un miliardo di euro.
Lo scorso giugno Lei ha provocato una semi-crisi diplomatica con l’Ucraina e con gli Stati Uniti per aver raccomandato di non umiliare la Russia. Inoltre, la Francia ha inviato scarsi aiuti all’Ucraina. Perché?
Lo scorso giugno sono andato a Kiev con Mario Draghi e Olaf Scholz (cancelliere tedesco, NdR), per mostrare la vicinanza europea alla causa ucraina.
Il supporto all’Ucraina da parte della Francia non è mai mancato.
Il nostro sostegno economico e militare continuerà, ma a un certo punto l’Ucraina dovrà per forza negoziare con la Russia.
Quindi l’Ucraina dovrà rinunciare ai territori conquistati da Putin?
Negoziare non significa rinunciare. Putin deve mettere fine alla guerra, rispettare l’integrità dell’Ucraina e tornare al tavolo dei negoziati.
Non verrà richiesto a Kiev un compromesso inaccettabile.
Bisognerà però affrontare uno dei punti essenziali: la paura russa che la NATO arrivi direttamente ai suoi confini.
Questa sua posizione aumenta la tensione tra la Francia e gli Stati Uniti.
Perché è essenziale per il suo Paese non perdere il legame con la Russia?
Mantenere sempre regolari contatti diretti con Putin è essenziale: l'isolamento è la cosa peggiore. L'unica strada per trovare una soluzione al conflitto in Ucraina è tramite trattative.
Storicamente la Francia ha avuto bisogno della Russia per controbilanciare gli interessi americani.
Come spiega Manlio Graziano nel suo articolo pubblicato in “Scenari” il 9 dicembre scorso, i rapporti diplomatici tra Francia e Russia risalgono agli inizi del Settecento, quando la Francia era la più importante potenza europea e rappresentava per la Russia un efficace contrappeso alla potenza dell’Inghilterra.
Nel 1801 Napoleone aveva proposto allo zar Paolo I un attacco congiunto franco-russo all’India, dando inizio all’avanzata russa in Asia centrale nella speranza di conquistare l’India britannica e avere uno sbocco sull’oceano indiano.
Francia e Russia sono poi state unite quando, dopo l’unificazione nel 1871, l’impero tedesco era diventato una seria minaccia per entrambe le potenze. Le mire tedesche nei balcani si scontrava sia con gli interessi francesi sia con quelli russi.
La Russia si può definire “un gigante militare dai piedi di argilla”: il territorio russo è vastissimo ma ha sbocchi su mari ghiacciati per gran parte dell’anno e un’economia ancora debole.
La consuetudine dei due paesi di servirsi l’uno dell’altro come contrappeso a rivali più forti è continuata anche dopo il riarmo della Germania nel 1935 e durante la Seconda Guerra Mondiale e sembra rimanere anche ai giorni nostri. [NdR]
Ha chiesto al presidente cinese Xi Jinping di pressare Putin affinché vengano avviate serie negoziazioni. Perché vuole un coinvolgimento così importante per la Cina?
La Cina è un attore fondamentale nel Mondo. Non si può ignorare.
Probabilmente Macron sostiene l’intervento della Cina a causa della difficoltà di dialogare con Vladimir Putin, che nel febbraio scorso lo ha ricevuto facendolo accomodare a un tavolo lungo 4 metri e così tenendolo a debita distanza. Il presidente francese sta cercando il confronto anche con agli altri alleati di Mosca, come l’India.
Nel contempo, come spiega Luca Sebastiani nel suo articolo pubblicato in “Scenari” il 9 dicembre scorso, la Francia ha alzato il livello di attenzione verso l’Indo-Pacifico, oltre per difendere gli interessi nazionali e dei residuali possedimenti francesi oltremare, per contenere l’espansione verso quell’area della Cina. [NdR]
La Cina sta investendo in molte aree del Mondo in cui la Francia ha dominato, come l’Africa occidentale e l’Indo-Pacifico.
Perché Lei non appoggia il progetto statunitense di decoupling, cioè di riduzione della dipendenza dai prodotti e dalle catene di approvvigionamento cinesi?
La politica di ostilità alla Cina portata avanti dagli Stati Uniti non è sostenuta dalla maggior parte dei paesi dell’Unione Europea.
Gli investimenti europei in Cina continuano ad aumentare. La Germania da sola ne rappresenta il 43 per cento del totale degli ultimi quattro anni, la Francia il 10 per cento.
Le relazioni commerciali con la Cina sono essenziali per l’autonomia strategica dell’Unione Europea.
Che cosa intende per “autonomia strategica”?
Intendo la possibilità da parte dell’Unione Europea di essere autonoma, credibile, rispettata e attiva nello scacchiere internazionale. Se l’Unione Europea sarà in grado di guidare le operazioni militari da sola o all’interno di una coalizione, sarà la vera protagonista del Mondo del futuro.
Lei ha previsto per il 2023 uno stanziamento record di 43,9 miliardi, il più alto mai raggiunto negli ultimi quindici anni, per le spese dedicate alla difesa. Almeno 30 miliardi sono destinati all’acquisizione di nuovi armamenti e alle spese di mantenimento in operatività del materiale già in dotazione alle forze armate, per evitare che le armi nei magazzini si deteriorino; 2 miliardi andrebbero all’acquisto di nuove munizioni per arricchire l’arsenale francese e sostituire quelle che sono state inviate in Ucraina; 5,6 miliardi saranno dedicati al rafforzamento della deterrenza nucleare della Francia, unico paese dell’UE ad avere capacità atomiche; infine, ci sarà un aggiornamento degli stipendi dei militare per incentivare l’interesse verso alcuni incarichi maggiormente trascurati e favorire lo scambio generazionale.
Questo significa favorire l’Unione Europea o solamente la Francia?
Se la Francia sarà più forte e autonoma nelle sue scelte, anche l’Unione Europea lo sarà.
Io ho risposto positivamente al piano presentato dall’Alto rappresentante per gli Affari esteri, Josep Borrell, per l’acquisto congiunto di materiale militare.
Lei ha sostenuto il piano perché sa che a trarne vantaggio saranno le aziende maggiormente in grado di rispondere in tempi rapidi alle esigenze degli eserciti nazionali, quindi quelle francesi.
Inoltre, grazie a questi investimenti, la Francia punta a mantenere stabile la sua presenza all’estero con 30mila militari dislocati nei teatri internazionali di maggior interesse.
È difficile non pensare che, invece di rafforzare l’Unione Europea, la Francia non voglia accrescere il suo protagonismo e porsi come potenza guida degli stati europei.
Storicamente la Francia vuole essere la leader in Europa, sarebbe disonesto non ammetterlo, ma il sostegno all’Unione Europea è da sempre un pilastro del mio programma politico e solo una Francia forte può contribuire al successo di tutta l'Unione.
All’inizio del mio secondo mandato, ho subito affermato che non si proteggeranno gli europei se non si deciderà di avere un vero esercito europeo. Dinanzi alla Russia, che è alle nostre frontiere e che ha mostrato di poter essere minacciosa, dobbiamo avere un’Europa che si difenda maggiormente da sola, senza dipendere solo dagli Stati Uniti, e in maniera più sovrana.
Per arrivarci, i paesi europei si stanno accordando su un’unica strategia industriale, come emerso durante il meeting di Versailles tra i 27 stati Ue nel marzo scorso.
Il territorio della Repubblica francese comprende anche i territori nel Mondo rimasti legati alla Francia dopo la caduta dell’Impero coloniale francese.
Attraverso il dispiegamento delle sue forze armate nelle Antille, per la lotta al narcotraffico, nell’Oceano indiano e nel Golfo persico, per la lotta al terrorismo, la Francia, spera di diventare una grande potenza internazionale nei prossimi anni. [NdR]
Purtroppo però gli accordi sono ancora in alto mare, visto che il programma Future Combat Air System (Fcas/Scaf) riguarda solo Francia, Germania e Spagna e il caccia di sesta generazione che verrà realizzato sostituirà il Rafale francese e gli Eurofighter tedeschi e spagnoli.
L’accordo politico sul programma Scaf è un grande passo in avanti e presto si potrà unire a Tempest. Il Fcas di Francia, Germania e Spagna e il Tempest a guida britannica con Svezia e Italia potrebbero diventare una cosa sola.
Pochi giorni fa è stato reso noto che Italia, Gran Bretagna e Giappone realizzeranno un caccia pilotato dall'Intelligenza artificiale. Questo jet dovrebbe essere operativo nel 2035. Le società che lo realizzeranno saranno la giapponese Mitsubishi Heavy Industries, la britannica BAE Systems e l'italiana Leonardo.
Il Generale Vincenzo Camporini, Capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare e della Difesa nel 2008, ha recentemente dichiarato: “Noi tutti vorremmo avere un programma pienamente europeo, un solo programma, in modo che le risorse necessarie, sia tecniche sia finanziarie, vengano convogliate in un’unica direzione. Questo non è stato possibile per gelosie tra nazioni (e spesso tra industrie) e quindi si è resa necessaria una scelta. Il programma franco-tedesco è al momento molto claudicante. C’è stata una recente schiarita, ma che arriva dopo un periodo molto difficile della cooperazione tra Berlino e Parigi”.
Gli egoismi nazionali stanno mettendo a rischio l’Europa, proprio quando è chiaro che la nostra difesa europea deve fare un nuovo passo. La guerra in Ucraina deve spingerci ad andare molto più veloce e molto più forte.
Un esempio dello stato critico in cui si trova il piano di difesa comune europea è anche la scelta di Berlino di acquistare armamenti targati USA. Come si spiega questa decisione tedesca?
Quando uno Stato dipende troppo dalle potenze estere, non può dire di no alle loro richieste.
Questo mi permette di ribadire quanto ho detto prima: l’Europa ha bisogno di una Francia forte, se vuole essere autonoma e sovrana.
Ora che la Russia è bandita dal contesto internazionale, la Germania ha bisogno degli Stati Uniti per mantenere la sua economia.
Gli USA stanno lavorando alla creazione di un comando militare unificato in Germania, nella base di Wiesbaden. Questa nuova struttura dovrebbe centralizzare le operazioni di training, forniture militari e assistenza logistica alle truppe di Kiev. Il progetto rivela con chiarezza una cosa: l’amministrazione Usa pensa che la guerra sarà ancora lunga e che la Russia potrebbe costituire una minaccia permanente non solo all’Ucraina ma anche, più in generale, alla stabilità europea e all’egemonia americana nell’area.
Perché Parigi ha detto no al gasdotto Midcat, che avrebbe collegato Spagna e Francia attraverso i Pirenei per poi sfociare in Europa centrale?
Perché era un progetto inutile, che sarà sostituito da BarMar, un “corridoio energetico verde” che trasporterà idrogeno.
Phuc-Vinh Nguyen, ricercatore di politica energetica presso l’Istituto Delors, ha dichiarato a EURACTIV France che “per il momento il progetto è vago”, perché al momento “il trasporto dell’idrogeno è difficile tecnicamente […], ha più senso consumarlo dove viene prodotto”. Senza contare la notevole richiesta di elettricità da fonti rinnovabili che la produzione di idrogeno verde richiede.
Non è così. Il gasdotto avrà la capacità di trasportare il gas naturale.
A causa delle politiche molto restrittive di Bruxelles sul finanziamento di nuove infrastrutture per i combustibili fossili, l’unico modo per il BarMar di accedere agli aiuti europei prevede la focalizzazione esclusiva sul trasporto di idrogeno.
Bruxelles, infatti, sta puntando molto sull’idrogeno – in particolare sulla variante “verde”, prodotta dall’elettricità rinnovabile ma parecchio costosa – per decarbonizzare le industrie e i trasporti pesanti, come la siderurgia e l’aviazione, responsabili di grandi quantità di emissioni e difficili da elettrificare. L’Unione punta a ridurre i propri livelli di gas serra di almeno il 55 per cento (rispetto al 1990) entro il 2030.
Alcuni commentatori sostengono che non abbia finanziato il Midcat per non rischiare uno spostamento del baricentro verso est (paesi baltici) a danno della Francia e che gli americani siano i grandi vincitori di questa guerra, mentre i francesi e i tedeschi sono i grandi perdenti. È vero?
Questa è una menzogna.
L’ex presidente della Georgia e nemico giurato di Putin, Mikheil Saakashvili , in carcere a Tbilisi con una condanna a sei anni, le ha inviato una lettera d’aiuto, scritta a mano, con grafia incerta e preceduta dalla sigla SOS, tramite l’inviata a Tbilisi del quotidiano francese “Le Monde”: «Ho lottato per tutta la vita per la libertà e le riforme in Georgia e in Ucraina e contro la politica imperialista russa. Putin mi considera come uno dei suoi principali nemici. Ha pubblicamente promesso di uccidermi (…) Sono stato avvelenato in prigione. Sto morendo, non ho più molto tempo».
Come può aiutarlo?
Purtroppo non posso rispondere a questa domanda.
La Francia è la culla di libertà, uguaglianza e fraternità e si impegna a far rispettare questi tre ideali in tutto il Mondo.
Tornando ai rapporti della Francia con gli Stati Uniti, perché sono così turbolenti?
La Francia è il più antico alleato degli Stati Uniti.
Dobbiamo cercare insieme di essere all'altezza di ciò che la Storia ha suggellato tra di noi, un'alleanza più forte di qualsiasi altra cosa.
La mia seconda visita di Stato negli Usa, dopo quella del 2018, dimostra la forza, il legame tra Stati Uniti e Francia
La sua visita negli Stati Uniti archivia l'Affare Aukus?
Ho avuto modo di chiarirmi con Biden, che ha convenuto che la situazione avrebbe beneficiato di consultazioni aperte con gli alleati europei, prima di annunciare la nuova intesa di sicurezza anti-cinese con Australia e Gran Bretagna, che ha previsto la cancellazione di una commessa da 36 miliardi di euro per la fornitura di sommergibili francesi in Australia a favore di mezzi americani alimentati da combustibili nucleari.
Biden si è impegnato a rafforzare il proprio sostegno alle operazioni militari anti-terrorismo della Francia nel Sahel.
Il punto di tutta questa storia è che l’Unione Europea non ne esce bene. Ancora una volta non sfoggia una politica estera comune, pur sentendosi trascurata, delusa ed umiliata dal comportamento degli Stati Uniti in quanto alleato della Nato.
Cosa ne pensa dell’Inflaction Reduction Act (IRA)?
Il programma di investimenti e sussidi degli Stati Uniti per aiutare le aziende americane rischia di frammentare l'Occidente. Ai deputati americani ho detto con grande franchezza, con amicizia, che quello che è successo negli ultimi mesi è una sfida per noi: le scelte fatte, di cui comunque condivido gli obiettivi, in particolare l'Ira (Inflation Reduction Act, un programma di riforme e investimenti ambientali e sociali per le aziende americane) sono scelte pericolose per la solidità della nostra alleanza.
Ho voluto mettere in guardia la Casa Bianca del rischio che l'Europa e la Francia diventino una sorta di variabile di aggiustamento nella rivalità tra Stati Uniti e Cina, le due principali potenze mondiali. Il rischio è che, di fronte alle sfide del tempo, gli Stati Uniti guardino prima agli Usa, il che è normale, e poi guardino alla rivalità con la Cina. E che quindi, in un certo senso, l'Europa e la Francia diventino una sorta di variabile.
Perché ha definito la NATO “cerebralmente morta” nel 2019?
Per lanciare un duro avvertimento sul futuro dell'Europa la cui straordinaria fragilità rischia di farla scomparire se non comincerà a concepirsi come una potenza del mondo.
Non credo di drammatizzare le cose, cerco di essere lucido. I tre grandi rischi per l'Europa sono: aver dimenticato di essere una comunità, il disallineamento della politica Usa dal progetto europeo e l'emergere della potenza cinese che mette chiaramente l'Europa a margine.
Quale Mondo spera per il futuro?
Un Mondo più solidale, in cui domini il dialogo anche con i paesi meno ricchi. Ad esempio, è necessaria l'integrazione piena ed intera dell'Unione africana nel G20.
Se vogliamo pienamente attuare una solidarietà nei confronti del Sud, dobbiamo accettare che l'Unione africana, come l'Unione europea, sia intorno al tavolo.
Per questo motivo ha sostenuto Il progetto di legge che ha messo fine al franco CFA, acronimo di Comunità Finanziaria Africana, antico retaggio delle colonie francesi d'Africa?
Sì. Il provvedimento era molto atteso dai Paesi membri della comunità monetaria d'Africa occidentale. La nuova valuta Eco sostituisce il CFA e non è più legata alla Banca di Francia, ma all’Euro.
Il 20 maggio 2020 il governo francese ha approvato un disegno di legge che elimina l’ultima moneta coloniale ancora in vigore nel mondo: il franco cfa che circolava nei paesi dell’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa). Una riforma fortemente voluta per mettere a tacere le crescenti critiche dall’Africa e dall’Europa (soprattutto da Germania e Italia). Alcuni però sostengono che il progetto non sembra portare a un reale cambiamento di rotta nei rapporti economico-monetari che continuano a sussistere tra la Francia e alcuni paesi africani.
Creata dal generale Charles de Gaulle nel 1945, la valuta CFA ha lasciato spazio a una nuova moneta comune chiamata ECO, che circolerà inizialmente negli otto stati dell’Uemoa – Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo – per poi essere gradualmente estesa a tutta l’area della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cedeao), cioè i paesi dell’Uemoa più Capo Verde, Gambia, Ghana, Guinea, Liberia, Nigeria, Sierra Leone. La riforma non interesserà invece gli stati dell’Africa centrale (Camerun, Ciad, Repubblica Centrafricana, Congo, Gabon e Guinea Equatoriale), comunità economica gemella dove continuerà a circolare il franco CFA.
Secondo diversi economisti ed esperti, a fronte di alcuni elementi di parziale evoluzione, i principali pilastri del dominio monetario della Francia sulle ex colonie resteranno invariati. Oltre al cambio di nome, la riforma del franco CFA prevede la cessazione dell’obbligo di depositare metà delle riserve di cambio dei paesi dell’Uemoa alla Banca di Francia, e il ritiro dei rappresentanti di Parigi dagli organi tecnici di controllo della Banca centrale degli stati dell’Africa occidentale (Bceao).
La Francia esige però un accesso privilegiato alle informazioni macroeconomiche dei paesi dell’Uemoa e la conferma del ruolo commerciale della Banca di Francia, che continuerà a stampare, trasportare e assicurare l’eco. Un servizio offerto alla cifra di quasi 41 milioni di euro all’anno, pagati direttamente dalla Bceao.
Le domande per il Presidente sarebbero ancora molte, ma il tempo è scaduto.
Ringrazio il Presidente e gli auguro un buon lavoro.
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