INTERVISTA IMPOSSIBILE A ... COCO CHANEL

 



Da dove nasce il suo nome “Coco”?

All'alba dei miei diciotto anni lavoravo sia come commessa nella bottega Maison Grampayre a Moulins sia come cantante in un caffè. Qui una sera intonai la canzone "Qui qu'a vu Coco?" e da quel momento tutti iniziarono a chiamarmi Coco. 

Come sei entrata nel mondo della moda?

Ed è proprio in un caffè di Moulins che feci il primo dei tanti incontri importanti che hanno costellato la mia esistenza. Incrontai Étienne de Balsan con il quale ho condiviso sei anni della mia vita. Lui era figlio di imprenditori tessili e non fu solo il mio compagno ma anche il mio primo finanziatore, il primo a credere in me e nel mio talento.

Come si sente ad essere definita la stilista che rivoluzionò il concetto di femminilità?

Con la prima guerra mondiale il ruolo della donna nella società subì un mutamento. Le donne iniziarono a lavorare in fabbrica ed erano obbligate a compiere gli stessi lavori dei colleghi maschi, anche quelli più pesanti. Certamente non potevano adempiere alle proprie faticose mansioni indossando l’abbigliamento costrittivo, dettato dallo stile dell’epoca. Nacque così un nuovo tipo di donna, dinamica, lavoratrice, vigorosa e soprattutto indipendente dall’uomo. Fu ciò ad ispirarmi e a convincermi a creare non solo una nuova linea di abbigliamento ma uno stile rivoluzionario per gli anni venti, uno stile di vita. L’obiettivo era di liberare la donna dal vincolo dell’uomo, renderla emancipata, moderna, all’avanguardia. Scomparvero i corpetti e gli ingombranti orpelli. La donna doveva sentirsi leggera, pratica ed elegante al tempo stesso. I miei abiti dovevano premiare l’essenzialità. Erano comodi e semplici nelle linee al fine di permettere movimenti liberi e dinamici per affrontare la vita di tutti i giorni. Le gonne divennero più corte, sotto il ginocchio ed introdussi un nuovo capo di abbigliamento, oggi tanto amato, i pantaloni femminili.

In che modo creava i suoi abiti?

Per prima cosa io non disegnavo, io non ho mai disegnato un vestito. Adoperavo la mia matita solo per tingermi gli occhi e scrivere lettere. Scolpivo il modello, più che disegnarlo. Prendevo la stoffa e la tagliavo. Poi la appiccicavo con gli spilli su un manichino e, se andava, qualcuno la cuciva. Se non andava, la scucivo e poi la ritaglivo. Se non andava ancora, la buttavo via e ricominciavo da capo… In tutta sincerità non so nemmeno cucire!

Le sue creazioni sono o bianche o nere? Come mai?

In realtà il bianco ed il nero non sono gli unici colori che ho utilizzato per i miei abiti. Ho impiegato anche tonalità come il beige, il grigio e il blu marine.

In ogni caso, il nero e il bianco contengono tutto. Sono d'una bellezza assoluta. È l'accordo perfetto.

Piombo Sveva (1^F)





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